Un bacio che non fa male

aiuti e iardino

 

In Italia ci sono 150 mila persone affette da HIV. I pazienti in cura negli ospedali sono 120 mila, le stime Lila (Lega Italiana per la lotta contro l’Aids) indicano che circa 30 mila persone nel Paese non sanno di essere malate.

Se una persona non è a conoscenza della propria sieropositività e non assume tempestivamente le terapie retro-virali, favorisce il contagio e permette al virus di avanzare e palesarsi in fase avanzata.

Attualmente la maggioranza delle diagnosi è attribuibile a rapporti eterosessuali non protetti – nel 2017 la percentuale maggiore è quella maschile con il 76,2% dei casi.

La disinformazione sul virus dell’immunodeficienza umana è alta. Primo elemento che viene confuso è l’identità stessa del virus (Hiv) che viene equiparato all’Aids – mentre quest’ultima, la sindrome da immunodeficienza acquisita, può essere una conseguenza della contrazione del virus.

Nei giorni scorsi, grazie alla giornata internazionale contro la malattia di sabato 1 dicembre, si è parlato spesso di Aids. Il dato preoccupante è che ancora oggi, tanti sono i pregiudizi riguardo alla convivenza con questa malattia. Si può vivere anche dopo aver contratto il virus. La svolta farmaceutica degli anni 90 ha permesso di fare grandi passi avanti sulle terapie necessarie, ma in tema di contraccezione le lacune sono ancora troppo profonde. Non solo, la paura dettata dalla poca o scorretta informazione riguardo a come sia possibile contrarre la malattia è tutt’ora viva.

Il 2 dicembre 1991, una giovane ragazza sieropositiva voleva dimostrare a tutti che si poteva vivere anche dopo aver contratto la malattia, sfatando leggende oscure sulla necessità di mettere in quarantena le persone affette da immunodeficienza acquisita, chiamata “peste bianca”.

Un simbolo, un gesto che chiarisse definitivamente che sì, sono necessarie precauzioni e attenzioni particolari per quanto riguarda i rapporti sessuali, ma lacrime, sudore e baci di una persona malata non possono contagiare una persona sana.

Così Rosaria Iardino – all’epoca 25enne che aveva contratto il virus a 18 anni, oggi mamma- baciò pubblicamente il professore immunologo Fernando Aiuti, al termine di una conferenza riguardante la trasmissibilità del virus. Il Professore la ritenne l’unica forma di comunicazione efficace per trasmettere la verità e cancellare i pregiudizi. Due anni dopo, durante una trasmissione televisiva, il bacio andò a Maurizio Costanzo.

Un messaggio sincero, immediato e anti-discriminatorio. Un “semplice” bacio che ancora oggi è un grande esempio.

 

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