Bacini per Salvini

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Perugia, città ricca di storia e monumenti, è anche nota per i suoi baci: quelli di cioccolato. Questa volta invece, il bacio è gay. La campagna dell’associazione Omphalos,  che da 25 anni è un punto di riferimento per la comunità LGBT umbra, ha fatto discutere.

L’UNICO BACIO CHE NON CI PIACE” è lo slogan che accompagna il fotomontaggio con il sindaco di Perugia Andrea Romizi e il ministro dell’Interno Matteo Salvini, intenti in un appassionato bacio a occhi chiusi. I manifesti danno un tocco di color arcobaleno alle mura della città, ma il chiaro intento polemico della campagna choc è quello di provocare il sindaco (di Forza Italia) per la sua alleanza con la Lega del caliente Matteo. Con tanto di hashtag #perugianonsilega.

Dopo qualche giorno dalla fine del Congresso delle famiglie di Verona, dove il tema omosessualità non era tra i favoriti e i consigliati, la comunità gay perugina ha voluto sottolineare la loro distanza dalle scelte politiche proposte dalla Lega «mettendo in guardia la cittadinanza verso tutte le posizioni apertamente omofobe, razziste e sessiste».

Il sindaco Romizi, 40 anni e una figlia piccola, ha risposto alla provocazione con una battuta: «sono raffreddato, me l’ha attaccato Matteo» mentre il vicepremier (attualmente coinvolto in una nuova love story con Francesca Verdini) non si è ancora sbilanciato in commenti.

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Galeotto fu Tvboy e quel graffito che un anno fa rappresentò il duro e puro Matteo Salvini in un bacio omo con il suo collega Luigi Di Maio. Colpire il ministro a colpi di baci sembra la mossa più gettonata, e ben venga. Ce lo insegnano gli hippie e gli anni 60: make love, not war.

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Ba ba baciami a Sanremo

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E’ finito il 69esimo Festival della canzone italiana. I pronostici erano quelli di un’edizione di Sanremo armonica, in cui la politica doveva essere parzialmente – o del tutto –  esclusa per lasciare spazio alla sola musica, ma in realtà è finita con l’amaro in bocca.

E’ stato un bel Festival. C’è chi l’ha reputato noioso, chi ha detto che doveva essere il Festival del cambiamento ma che non lo è stato, chi ha parlato di Baglioni & Friends. Tanti i commenti ma pochi – e certi –  sono alcuni dati. Quest’anno Sanremo è stato seguito dai giovani (in particolare sui social) e – altro punto da non sottovalutare – i tre finalisti: il Volo, Ultimo e Mahmood sono tutti under 30. Mahmood ha vinto con Soldi e le polemiche sono nate proprio per questo. Bella canzone a parte, il voto del pubblico voleva Ultimo vincitore, mentre la giuria di esperti e la sala stampa dell’Ariston hanno preferito il ragazzo di Gratosoglio. L’humus politico che si era cercato di tenere a bada durante la trasmissione si è risollevato in un colpo solo sulla parola fine. Ciliegina sulla torta di una settimana che non era riuscita a smuovere troppe polemiche.

Ma fin qui non si è parlato di baci. Tra le cose notabili delle serate del Festival c’è un bacio tra il padrone di casa – nonché direttore/dirottatore artistico – Claudio Baglioni e la regina del punk italiano Loredana Bertè. Capello blu, rossetto fucsia e gambe vertiginose (a 68 anni) erano solo la cornice. Cosa ti aspetti da me è stata un successo. Standing ovation per ogni esibizione del Festival, in particolare per la serata dei duetti –  il venerdì con Irene Grandi – che le ha riservato una platea dell’Ariston tutta in piedi ad applaudirla. Al momento della tradizionale consegna dei fiori sanremesi rivolta alle cantanti Baglioni si è fatto prendere dall’entusiasmo – e dall’amicizia – e le ha dato un bacio. Un grazie per l’esibizione, un riconoscimento per la sua grinta e la sua bravura: meglio un bacio di una pacca sulla spalla. Delicato e deciso come la Bertè al suo undicesimo Festival di Sanremo. E con gli occhi chiusi.

Superato questo momento romantico è doveroso ricordare una canzone italiana vintage -1940- che spesso viene ricordata per la versione del Quartetto Cetra – citato più volte dai presentatori di questo Festival- che in realtà è di Alberto Rabagliati. Dare a Cesare quel che è di Cesare: magari anche un bacio.

Ba ba baciami piccina ed è subito amarcord.

Un bacio intraducibile

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C’e’ una parola che esprime esattamente il momento i cui si è in due, imbarazzati, in tensione per qualcosa che si vorrebbe moltissimo, ma non si realizza. Perché?

Non si ha l’ardire di prendere l’iniziativa, si ha paura di commettere un grande errore, di rovinare tutto. E’ un momento denso di egoismo: aspettiamo un segnale dall’altro mentre cerchiamo di convincerci che “mal che vada la caccia continua” e il corteggiamento prosegue.

Poi ci si fissa negli occhi, le parole giuste per quel momento sono finite. Si è ad un bivio: sparare la frase più inopportuna (e comunque rovinare tutto), lanciarsi in sguardi da triglia che potrebbero -comunque- rovinare tutto, oppure buttarsi. Prendere al volo quel brivido che ci spinge dalla schiena e tentare l’approccio.

Alcune volte saluteremo rovinosamente con un bacio sulla guancia e una “buonanotte”, altre, accompagnati da uno sgradevole nodo in gola, tenteremo la mossa: il bacio.

Per quei delicati attimi di adorabile tensione esiste una parola lunga che viene da molto lontano: mamihlapinatapei

Viene dal lessico del popolo Yamana, una popolazione autoctona della Terra del Fuoco. La loro lingua si sta estinguendo ma ci ha regalato un termine dal significato rotondo. Infatti è intraducibile, e insieme ad altre poche locuzioni, è entrata nella lista delle parole più complesse del Guinness World Record.

L’interpretazione più utilizzata in questo caso è: “l’atto di guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo”. 

Tutti hanno provato almeno una volta queste sensazioni, che adesso hanno una parola per descriverle, e si spera, anche un bacio per superarle.

 

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Schulim Vogelmann con figlia Sissel

A destra Schulim Vogelmann, ebreo sopravvissuto ad Aushwitz e unico italiano salvato da Oscar Schindler. A sinistra sua figlia Sissel, deportata nel campo di concentramento con la madre Annetta Disegni: sono morte entrambe.

Li ricorda Daniel Vogelmann, secondo (e unico) erede di Shulim, nel libro: Piccola autobiografia di mio padre. In appendice al testo cinque poesie dedicate alla sorellina mai conosciuta.

 

 

 

 

Un bacio sulla banchina

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Da qualche giorno le camminate senza tregua nei corridoi della metropolitana di Milano sono interrotte da un bacio. “Joie de voyager” è l’ultima campagna pubblicitaria del servizio ferroviario francese (SNFC). Per lanciare delle offerte dedicate alla coppia sulla tratta Milano-Torino verso la Francia, la compagnia ferroviaria ha pensato bene di abbellire i grigi muri della metro.

[Qualcosa di simile era successo con la compagnia Vueling poco tempo fa: la miglior foto di un bacio premiava con un viaggio per Parigi. SNFC  usa un’ altra strategia comunicativa: niente interazione con i possibili clienti, il bacio è usato come immagine positiva, epifania di momenti condivisi – ancor meglio se su un treno].

Bastano due pubblicità per risvegliare una tradizione affascinante: il bacio sulla banchina del treno. Alla vista di una coppia che si saluta sui binari nasce un magnetismo a cui in pochi possono sottrarsi. La tendenza è quella di fissare il momento, cercare di rubarlo e indovinare le motivazioni che hanno portato quelle persone a lasciarsi così. Dove andranno? Come si chiamano? Potranno rivedersi? Dubbi connaturati nel gesto del saluto, ma quando c’è un bacio che sigilla quel momento, l’atmosfera cambia. La “carica attrattiva” generata dalla vicinanza e dal contatto tra due persone cresce. E poi entra in campo anche il voyeurismo: vogliamo spiare ma non vogliamo essere visti.

Oggi i baci appassionati sulle banchine del treno sono stemperati -in termini di quantità- perché il treno non è il principale mezzo di trasporto utilizzato. Ma un tempo, in particolare durante le due Guerre, salutarsi prima di prendere un treno era una dolorosa    e bellissima “abitudine”.

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La parola “treno” viene proprio dal francese “train” e significare trascinare, “ciò che si trascina e si porta avanti”. Questo è l’auspicio che tutti bramano al momento del saluto: portare con sé un ricordo della relazione vissuta dopo averlo sigillato in ultima battuta con un bacio.

Ma cosa succede dentro alle carrozze? Un mondo a parte. Incontri e litigi, conoscenze impensabili e “il mondo quanto è piccolo” sono all’ordine del giorno. Il treno è un microcosmo itinerante che mantiene segreti e stimola i pensieri, magari condivisi.

Un buon punto di partenza per un bacio.

“Eravamo amici, insomma quasi amici, avevamo studiato insieme a Rimini, lei faceva le magistrali, non proprio insieme, io facevo l’Istituto e poi a Bologna all’università, su e giù in treno, c’incontravamo spesso, chiacchieravamo, ci prestavamo i libri, m’ha prestato un giallo che aveva un titolo strano, Con te, ma bello, il più bel giallo che ho letto, poi parlavamo di film, a lei era piaciuto Kramer contro Kramer, anche a me, ma a me era piaciuto molto Il grande freddo, «Vallo a vedere», e dopo mi ha detto «Bello, avevi ragione», «E beh, gli americani sono bravi, hai visto Blade Runner? quello davvero è un capolavoro», ecco, dei discorsi così, e quella sera tornavamo da Bologna, eravamo partiti alle otto, era già notte, avevamo trovato uno scompartimento vuoto, proprio al centro, «Domenica a Ravenna c’è Vasco Rossi, lo conosci? uno un po’ matto», «Lo vai a sentire?» «E tu?» e in quel momento, tac, è mancata la luce, non si vedeva più niente, le ho chiesto «Hai paura?», e lei: «E tu?» abbiamo riso piano, siamo stati zitti un po’, poi non so neanch’io com’è successo, è stato anche il suo profumo, sottile, ma mi entrava dentro, l’ho cercata con una mano, un braccio, la spalla, piano, senza stringere, i capelli, quanti capelli, poi intorno al collo, poi l’ho baciata, e lei m’ha baciato anche lei, e stavamo lì, non sapevamo cosa dire, poi le ho baciato gli occhi, teneri, quasi dolci, sempre senza dir niente, poi un altro bacio, lungo, stavamo zitti, secondo me, anche dalla meraviglia, non ce l’aspettavamo d’innamorarci di colpo quel mercoledì sera, al buio, in treno, un po’ prima di Forlimpopoli”.

[Raffaello Baldini, La nàiva Furistir Ciacri, In Treno, Torino, Einaudi 2000, pp. 317-318]

Alla ricerca di lunghissimi e interminabili viaggi in treno? No, non si parla di Trenord: l’India è il paese che fa per voi. Le ferrovie indiane sono tra le più estese al mondo e tanti sono i film sul tema a Bollywood da cui prendere spunto.

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Un Natale al bacio

cena di natale

Quando una cosa è al bacio, è perfetta. La definizione dell’enciclopedia è: “che non presenti difetti”. Ma quando si parla di qualcosa “al bacio” si pensa a quell’unione mistico-platonica del cacio sui maccheroni. Un tornado di sensi che la scienza non è ancora riuscita ad equiparare e che ti fa sentir bene.

A Natale questo non manca. C’è tutta la famiglia riunita ad un tavolo che riesce a litigare sulla suddivisione dei crostini al salmone, sulla scelta dei posti a sedere, sul numero delle volte in cui ci si è alzati per sparecchiare rispetto al cugino che non si è mai nemmeno degnato di mimare il gesto. C’è una quantità di cibo che ti fa brillare gli occhi ma che poi ti fa sentire in colpa – e già pensi all’iscrizione in palestra di gennaio – , c’è l’apertura del regalo più inutile e meno azzeccato che potessi ricevere. Ci sono le domande inquisitorie del lontano parente che vuole avere il resoconto della tua vita personale, ci sono i maglioni intrecciati spessi quanto un mattone di Dostoevskij, e poi ci sono gli addobbi.

Proprio quelli che settimane prima inizi a vedere con gioia, le lucine vorresti appenderle pure in bagno. Poi ti ricordi degli scatoloni che avevi cercato di ordinare un anno fa, dei fili aggrovigliati, della discussione dello scorso Natale proprio sulla scelta del posizionamento delle pecore nel presepe – che di anno in anno sembrano sempre più piccole – perché quando hai iniziato a posizionarle eri poco più grande di un Babbo Natale da cassettone.

Il tutto accompagnato da un perenne sottofondo aromatico di cotechino.

Questa è la serendipity del Natale. Le premesse sono sempre le stesse, ci si illude di sapere che tanto sarà sempre lo stesso, sempre le stesse persone, sempre lo stesso menù devastante. E invece, in un momento qualsiasi, durante un brindisi in diretta telefonica con lo zio che è in vacanza in Brasile, pensi a chi non lo festeggia, magari guardando la sedia dove un tempo si sedeva la tua nonna e complice un buon livello di glicemia nel sangue, senti la felicità di quell’atmosfera, ti senti fortunato e ami quel Natale al bacio.

 

 

 

Un bacio sotto il vischio. Perché?

Mistletoe_Kiss

Prima o poi a Natale ci si trova in questo momento imbarazzante. Cosa fare?

Ma soprattutto, perché?

La tradizione natalizia del bacio sotto il vischio ha origini molto antiche, la storia infatti, chiama in causa i Druidi celtici. Questo piccolo arbusto era considerato sacro, un dono divino – tesi confermata anche dalle ricerche di Plinio il Vecchio. Era un rimedio contro l’infertilità e una valida cura contro i veleni. Ciò che lo rendeva magico, la sua natura ariosa. La pianta è infatti un emiparassita che non ha radici ma che nasce e prospera su un’altra pianta.

L’origine della particolare attenzione verso il vischio coinvolge una leggenda nordica che ha come protagonista una delle mogli del Dio Odino: Freyja. La dea, protettrice dell’amore, ebbe due figli: Baldur e Loki. Il primo, di animo gentile, era amato da tutti, mentre Loki, geloso e vendicativo, non aspettava altro che liberarsi del fratello – futuro erede al trono. La madre, intuite le intenzioni di Loki, cercò in tutti i modi di salvare Baldur: si rivolse agli animali, alle piante e ai quattro elementi e ne richiese protezione. Tutti giurarono di non attaccare Baldur, ma Freyja si dimenticò del fragile cespuglio di vischio. Scoperta la falla, Loki creò un dardo dalla pianta e con l’inganno colpì e uccise il fratello. Secondo la leggenda, la dea pianse sul corpo di Baldur, e mentre le sue lacrime diventavano come gemme (le bacche) suo figlio riprendeva vita. Da quel momento l’arbusto diventò il simbolo di Freyja e della resurrezione, portatore di fortuna e prosperità. Chiunque si scambiava un bacio sotto il vischio, riceveva protezione dalla dea.

Ma come si collega questa magia celtica al periodo natalizio? La risposta più convincente è quella esposta da Washington Irving nel suo libro The Sketch Book of Geoffrey Crayon  (Il libro degli schizzi) pubblicato nel 1820. Si tratta di una raccolta di saggi e racconti brevi che dipingono, come per un piccolo quadro, situazioni e suggestioni dell’Inghilterra e dell’America di inizio Ottocento. In uno di questi: “Christmas Eve”, Irving descrive la tradizione giovanile di darsi un bacio sotto al vischio, appositamente appeso sopra lo stipite di una porta della cucina.

“The mistletoe is still hung up in farm-houses and kitchens at Christmas, and the young men have the privilege of kissing the girls under it, plucking each time a berry from the bush. When the berries are all plucked the privilege ceases.”

Le ragazze colte sotto l’arbusto, non potevano sottrarsi al bacio. A bacio negato, solo tanta sfortuna in amore. La grande diffusione del libro di Irving portò la tradizione in America. Da quel momento, l’ascesa del vischio moderno.

Una storia incantata che ha vissuto per millenni ma che nella versione pop degli anni 2000 è romanticamente cantata da Justin Bieber.

 

 

Il vischio ha superato anche questa.

Nel dubbio, è meglio non fare come la dea Freyja – che sottovalutando il piccolo arbusto-  ha sofferto la morte del figlio, ma darsi un bacio: porterà solo cose belle.

Seguendo il clima natalizio nella città, l’unconventional love milanese ha fatto una proposta tutta nuova: ovviamente scherzano.

 

Vietato baciarsi

(@drymilano)

 

 

 

 

 

Baciarsi dentro

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Il bacio indica un apprezzamento, un sentimento. In una storia d’amore, il bacio rappresenta un punto d’inizio, la prima parola di un capitolo nuovo.

Il fatidico contatto è tendenzialmente preceduto da tutta una serie di sorrisi, “occhiatacce”, sguardi teneri o seducenti. Esiste poi una malattia rara, che toglie la possibilità di fare tutti quelle spontanee espressioni che sono l’ABC di ogni relazione.

La sindrome di Moebius è una forma congenita di paralisi oculo-facciale che fin dall’infanzia causa amimia facciale. Impedisce alla persona di sorridere, muovere gli occhi lateralmente e ammiccare. Una paralisi – e talvolta assenza- di nervi che rende le persone inespressive nel volto, crea problemi motori, strabismo, e nel 10% dei casi provoca anche un lieve deficit cognitivo. Pochissime persone ne sono affette, in Italia per esempio, si stima che le persone nate con questa sindrome siano 5-6 l’anno. Tanta l’esclusione sociale vissuta ogni giorno da chi è affetto da Moebius.

In questo caso particolare, quando Alex Barker  incontrò per la prima volta Erin Smith, non si aspettava di vederle spuntare un sorriso sulle labbra. Eppure si conoscevano da quasi due anni. Due anni di chat su Facebook tramite un gruppo creato per unire persone affette da Moebius. Lei del North Carolina, lui inglese. E poi l’incontro. Alex è volato da lei. Il padre di Erin ha ammesso di non aver mai visto sua figlia così felice.

Ancora qualche incontro oltreoceano e poi la grande proposta. Alex e Erin si sono sposati il 10 dicembre a Lexington, North Carolina. Unico problema della loro relazione? Scegliere dove andare a vivere, probabilmente in Gran Bretagna.

Gli invitati erano molto emozionati. Una giornata meravigliosa per gli sposini, ma per loro nemmeno un sorriso. Loro sorridono dentro e si danno un bacio.

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Un bacio astronautico

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A cosa pensava David Saint- Jacques prima di salire sulla navicella spaziale Soyuz MS-11?

Era il primo viaggio dopo lo spaventoso incidente che l’11 ottobre ha costretto la navicella a tornare sulla terra a causa di un problema tecnico. Ma per l’astronauta canadese è anche la prima missione spaziale. Direttamente dal Quebec, Saint- Jacques ha 48 anni, é sposato e ha tre bambini. E’ ingegnere, medico e astrofisico. Parla inglese e francese, conosce il russo, lo spagnolo e il giapponese. Eppure, prima di partire per una missione spaziale intorno alla terra della durata di sei mesi e mezzo, c’è stato un momento in cui la sua preparazione professionale è passata in secondo piano.

Il momento dei saluti.

Ha guardato i suoi bambini dalla bolla di policarbonato della tuta pressurizzata, voleva essere affettuoso, rassicurarli. Non li ha potuti prendere in braccio, non li ha potuti stringere, ma è comunque riuscito a concentrare tutto il suo amore in un piccolo gesto: ha mandato un bacio.

«Arriverò? Rivedrò i miei bambini a luglio?»

Ora non si può rispondere. Nel frattempo una cosa è certa: la navicella Soyuz è partita il 3 dicembre da Baikonur in Kazakistan, e dopo un viaggio di 6 ore e 30 minuti, è giunta alla stazione spaziale internazionale.

 

 

 

 

Un bacio che non fa male

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In Italia ci sono 150 mila persone affette da HIV. I pazienti in cura negli ospedali sono 120 mila, le stime Lila (Lega Italiana per la lotta contro l’Aids) indicano che circa 30 mila persone nel Paese non sanno di essere malate.

Se una persona non è a conoscenza della propria sieropositività e non assume tempestivamente le terapie retro-virali, favorisce il contagio e permette al virus di avanzare e palesarsi in fase avanzata.

Attualmente la maggioranza delle diagnosi è attribuibile a rapporti eterosessuali non protetti – nel 2017 la percentuale maggiore è quella maschile con il 76,2% dei casi.

La disinformazione sul virus dell’immunodeficienza umana è alta. Primo elemento che viene confuso è l’identità stessa del virus (Hiv) che viene equiparato all’Aids – mentre quest’ultima, la sindrome da immunodeficienza acquisita, può essere una conseguenza della contrazione del virus.

Nei giorni scorsi, grazie alla giornata internazionale contro la malattia di sabato 1 dicembre, si è parlato spesso di Aids. Il dato preoccupante è che ancora oggi, tanti sono i pregiudizi riguardo alla convivenza con questa malattia. Si può vivere anche dopo aver contratto il virus. La svolta farmaceutica degli anni 90 ha permesso di fare grandi passi avanti sulle terapie necessarie, ma in tema di contraccezione le lacune sono ancora troppo profonde. Non solo, la paura dettata dalla poca o scorretta informazione riguardo a come sia possibile contrarre la malattia è tutt’ora viva.

Il 2 dicembre 1991, una giovane ragazza sieropositiva voleva dimostrare a tutti che si poteva vivere anche dopo aver contratto la malattia, sfatando leggende oscure sulla necessità di mettere in quarantena le persone affette da immunodeficienza acquisita, chiamata “peste bianca”.

Un simbolo, un gesto che chiarisse definitivamente che sì, sono necessarie precauzioni e attenzioni particolari per quanto riguarda i rapporti sessuali, ma lacrime, sudore e baci di una persona malata non possono contagiare una persona sana.

Così Rosaria Iardino – all’epoca 25enne che aveva contratto il virus a 18 anni, oggi mamma- baciò pubblicamente il professore immunologo Fernando Aiuti, al termine di una conferenza riguardante la trasmissibilità del virus. Il Professore la ritenne l’unica forma di comunicazione efficace per trasmettere la verità e cancellare i pregiudizi. Due anni dopo, durante una trasmissione televisiva, il bacio andò a Maurizio Costanzo.

Un messaggio sincero, immediato e anti-discriminatorio. Un “semplice” bacio che ancora oggi è un grande esempio.

 

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